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Ricorso art. 21 Codice Deontologico

a cura di Rolando Ciofi, pubblicata il 15/03/2011

Cari colleghi, l'Ordine degli psicologi della Lombardia ha licenziato, nell'autunno scorso, alcune delibere in cui ribadisce 'la piena applicabilità, in sede disciplinare, dell'art. 21 del Codice Deontologico'. Tale articolo, che prevede il divieto di insegnamento a non psicologi delle discipline, delle tecniche e dei contenuti della psicologia, è in realtà un dispositivo il cui contrasto con la libertà di insegnamento costituzionalmente garantita, era già stato dichiarato nel 1998.

Nel 1998 infatti ad opera del Mo.P.I., era stata fatta una segnalazione all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che di fatto aveva invitato il Consiglio Nazionale a modificare l'articolo, armonizzandolo con il dettato costituzionale, in particolare l'art. 33 comma 1 della Costituzione.

Il Consiglio Nazionale aveva preso l'impegno (con l'allora Presidente Luigi Ranzato) di modificare l'art. 21 in occasione della prima revisione periodica del Codice Deontologico, che dal nostro ordinamento è prevista ogni due anni.

In realtà, sono passati oltre 12 anni, e nulla è stato fatto in questo senso!

La nuova maggioranza di OPL sta tentando ora il recupero di una linea 'dura', a partire da questo articolo del Codice Deontologico, per riaprire una guerra senza esclusione di colpi nei confronti di quegli psicologi e psicoterapeuti che promuovono corsi di counseling e mediazione familiare, penale, civile, o comunque che credono nella diffusione delle competenze relazionali in senso lato, e nell'utilità del lavoro su di sé per tutti gli operatori sociali e per tutte le persone impegnate nelle relazioni d'aiuto.

Attraverso una serie di dispositivi coordinati fra loro, l'Ordine della Lombardia - che inizialmente aveva accettato un accordo con il Consigliere indipendente Anna Barracco - con la quale era stato concordato un tavolo politico e una riflessione di largo respiro su tutte queste tematiche (professioni affini, questioni europee di regolamentazione della psicoterapia, ecc.) sta portando avanti, invece, una politica volta a screditare, isolare e stigmatizzare quei colleghi che credono che la diffusione delle competenze psicologiche e relazionali costituisca non già una minaccia alla professione e all'utenza, bensì una ricchezza e persino l'unica vera garanzia di sopravvivenza della nostra comunità professionale.

Vi chiediamo dunque un aiuto nel sostenere, anche economicamente, il ricorso, che alcuni psicologi lombardi hanno promosso e che il Mo.P.I. è felice di appoggiare. Chi volesse versare un libero contributo può usare i seguenti conti bancari e postali o può inviarci il numero della sua carta di credito indicando l'importo (va bene qualunque cifra, suggeriamo tra i 50 ed i 100 euro) e inserendo nella causale 'Ricorso art. 21' (Conto corrente postale 12247508 intestato MoPI - via Leopardi 14 - 50121 Firenze. Conto corrente bancario Iban IT 25 V 06230 02802 000070006976 Cassa Risparmio Parma e Piacenza).

Alla base di una professione regolamentata, ci devono essere 'atti tipici' ben definiti e delimitati, che sono riservati ai professionisti abilitati.

Il Consiglio Nazionale invece è ancora impegnato nell'indicare, specificare, e descrivere questi 'atti tipici'. Non può mai essere, in ogni caso, il divieto all'insegnamento teorico a supplire, in una società democratica, a questa debolezza strutturale o epistemologica di una professione regolamentata!

La riserva sull'uso degli atti tipici da parte di soggetti abilitati, prevista nel nostro ordinamento giuridico, serve a tutelare la fede pubblica e l'utenza, ma non può diventare un monopolio del sapere.

Anzi, è proprio la garanzia della diffusione e del dialogo dei saperi che permette, anche alle professioni affini (e ci sono anche professioni antiche, come il pedagogista, l'insegnante, l'educatore, lo psicomotricista, il riabilitatore psichiatrico, ecc.) di non incappare, per ignoranza, in questo errore.

La diffusione e condivisione del sapere è alla base dello sviluppo di una disciplina, e porvi un limite non trova alcuna giustificazione.

Dunque vi chiediamo ancora una volta di sostenere una battaglia che 12 anni fa era già stata portata avanti e già vinta dal Mo.P.I. (con il pronunciamento dell'antitrust), ma che la corporazione sembra disposta a voler riesumare, procedendo in modo cieco, e rifiutando la dialettica interna, anche a costo di sostenere 'la piena applicabilità' di un articolo che invece dovrebbe essere, da 12 anni, lettera morta.



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