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L'omofobia tra gli psicologi
di Fabio Borotto, Guido Mazzucco, pubblicato il 29/10/2009, fonte Mo.P.I.
tag: omofobia, dsm, apa
Leggendo l'articolo: 'Coevoluzione, collusione o distruttività nei rapporti di coppia' di Mario e Riccardo Zannini, apparso sul numero 1 - anno 3 della rivista 'Psicologi a Confronto' i due autori, iniziando a spiegare da cosa sono provocati i conflitti per cause interne al rapporto di coppia, parlano di 'incapacità psichica al matrimonio'. In particolare, a pag. 95 scrivono: 'Raggruppiamo sotto questa categoria tutte le forme di malattia mentale: nevrosi, psicosi (nota n. 21), psicopatie, sociopatie, perversioni sessuali (nota n. 22).' Riportiamo dunque per esteso la nota 22: 'Perversioni o deviazioni sessuali, (o manie): comportamenti sessuali aberranti, più o meno patologici, che mediante surrogati sostituiscono gli scopi e i mezzi normali dell'eterosessualità. Si distinguono: l'omosessualità, la pedofilia, la bestialità, la necrofilia, il voyeurismo, l'esibizionismo, il feticismo, il sadomasochismo. (Mucchielli R.' Psicologia della vita coniugale,' 1993, pag. 215.)'.
Vorremmo ricordare che la depatologizzazione dell'omosessualità è avvenuta nel 1973, anno in cui la categoria diagnostica, 'omosessualità' è stata derubricata dal DSM. Decisione che sarà poi definitiva nel 1980 con la pubblicazione del DSM-III.
Nel 2000 l'American Psychiatric Association (APA) sostiene il riconoscimento legale delle unioni tra persone dello stesso sesso con i diritti civili, i vantaggi e le responsabilità che ne derivano.
La stessa posizione era stata presa, in anni precedenti, anche dall'American Psychoanalitical Association, dall'American Psychological Association e da altre importanti associazioni mediche e psicologiche.
Vi è quindi stato un progressivo abbandono, da parte della più utilizzata nosografia psicopatologica internazionale, di un modello preminentemente biologico -organicistico in favore dell'adozione di un modello 'bio-psico-sociale' integrato, in cui l'omosessualità non è più considerata una caratteristica psicologica con un intrinseco significato psicopatologico.
Soltanto a partire dalla metà degli anni novanta in ambito psicoanalitico e psicodinamico inizia a prendere consistenza e a ricevere considerazione una letteratura sull'omosessualità non gravata dal pregiudizio.
Nonostante ciò, tuttavia, ancora oggi tocca leggere scritti che fanno riferimenti a dicotomie maschile/femminile associate ai concetti di attività e passività e a confusioni e sovrapposizioni tra i concetti di orientamento sessuale, identità e ruolo di genere: spesso presentati come degli 'a priori', questi concetti vengono 'naturalizzati' e non letti come espressione di un ordine culturale stabilito. ( '...gli scopi e i mezzi normali dell'eterosessualità'- nota 22 dell'articolo di cui sopra).
Come osserva argutamente Young-Bruel (1996), il discorso psicoanalitico sull'omosessualità ha implicato nel corso della storia un sistema di desideri, ansie e difese che lo ha reso simile ad un sintomo nevrotico: ciò è ancor più evidente se ci rendiamo conto di come, anche a livello teorico, il campo di indagine sia stato oggetto di pesanti rimozioni: lo rileva l'analisi parziale delle espressioni narcisistiche (considerate spesso dalla psicologia come condizione intrinseca, propria dell'essere omosessuale, e non come tentativo di risposta alla distruttività e al disprezzo che l'esterno esercita su di essi) ma anche il riduzionismo della prospettiva di indagine dell'omo-relazionalità, sempre declinata in mera omo-sessualità.
Sostenere dunque, come fanno gli autori dell'articolo, che l'omosessualità sia un comportamento più o meno patologico è un atto gravissimo, di ignoranza in primis.
Secondariamente, un messaggio di questo tipo - oltre che essere scorretto - può ingenerare confusione: se l'omosessualità è patologica è anche curabile? Di questo i due autori non hanno fatto cenno, poiché non era pertinente all'articolo, ma essi fanno spesso riferimento a Dio o al Vero Dio :'La mancanza di fede nel vero Dio e conseguente radicamento della vita di coppia familiare su falsi dèi (idoli) materiali o immateriali' (p. 97).
A questo punto ci domandiamo: a quale codice deontologico fanno riferimento gli Autori? Non certo quello degli psicologi italiani, per il quale, all'articolo 4: 'Nell'esercizio della professione, lo psicologo... rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall'imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socioeconomico,sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità.'
Forse un'indicazione in merito la troviamo nei riferimenti bibliografici citati dagli Autori: Ricca P., Alle radici della fede, meditazioni bibliche, Claudiana, Torino 1987.
Dichiariamolo, quindi, il fondamento veterotestamentario degli autori, comune a quello dei propugnatori delle terapie riparative, in cui la dottrina della fede è l'unica fonte di verità, la scienza non ha autonomia propria ed in caso di difformità da essa deve adeguarsi.
Verità di fede di tale sorta, corroborate da altre più 'scientifiche', compongono manuali di base per la formazione di catechisti, confessori, operatori cristianamente informati, psicologi fedeli alla 'verità' della loro interpretazione della Bibbia più che alla scienza, con un effetto devastante sulla vita delle persone omosessuali, che potrebbero venire sommersi da questa marea montante di disinformazione e negatività.
Conosciamo bene quanto la comunità scientifica internazionale - e americana in primis - abbia dovuto lavorare per prendere le distanze e denunciare i danni e la mancanza di scientificità propria degli approcci omofobi in voga presso i sostenitori delle terapie cosiddette 'riparative' (es. National Association for Research and Therapy of Homosexuality, cit. Nicolosi e Aardweg) e diffondere una cultura scientifica secondo la quale l'orientamento omosessuale non sia connesso in alcun modo a sintomi o sindromi psicopatologiche, né determini disturbi o conseguenze negative.
Anche solo offrendo terapie riparative, i terapeuti negano implicitamente che l'omosessualità possa essere sana e rinforzano, invece, gli stereotipi persecutori che essa sia deficitaria, inferiore e/o immorale.
La sofferenza psicopatologica - tutt'altro che intrinseca - è semmai procurata alle persone omosessuali dall'oppressione e dallo stigma sociale, dalle colpevolizzazioni indotte da visioni religiose intolleranti e da leggi discriminanti.
La spiritualità, che ciascun terapeuta è libero di vivere nel modo a sé più congeniale, non può, in nessun modo, scontrarsi con il proprio agire professionale.
Il sopra citato art. 4 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, punto di partenza per l'individuazione di corrette prassi che lo psicoterapeuta contemporaneo è chiamato ad osservare, fa riferimento al rispetto di quei diritti fondamentali sanciti dalla stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
L'ispirazione democratica irrinunciabile- di cui il codice deontologico nel suo insieme e l'art. 4 in particolare sono portatori- ci porta a sostenere la necessità di non incorrere in un relativismo ipocrita che sotto le mentite spoglie del confronto culturale 'aperto' tra colleghi ponga sullo stesso piano posizioni ideologiche esplicite e prassi terapeutiche implicite (non sempre dichiarate, forse perché non sempre dichiarabili) che presentino evidenti ricadute antidemocratiche sul piano etico e deontologico.
Il confronto culturale non può prescindere dal rispetto di norme fondanti, democratiche e laiche, autonome cioè rispetto a condizionamenti ideologici, morali o religiosi, di qualunque segno essi siano.
Riferimenti bibliografici:
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AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (1980), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-III). Tr. it. Masson, Milano 1983
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ISAY, r. (1989), Essere omosessuali. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 1996.
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