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Convenzioni
Gli psicologi sono capaci di promuovere la loro competenza professionale?
di Barbara Rossi, Stefano Sirri, pubblicato il 04/09/2008, fonte Simposio, Anno 4, Numero 2, Settembre 2008
tag: psicologia, promozione, sviluppo, competenza professionale
Stiamo assistendo sempre più alla nascita di nuove professioni afferenti all'area psicologica: da un lato counselor, filosofi, sociologi, pedagogisti che si pongono come più capaci di noi psicologi nel campo della promozione della salute. Dall'altro lato assistiamo alla nascita di nuove forme di terapia, più basate sul livello motivazionale, sul livello suggestivo, sul supporto attivo della persona che su un cambiamento psicologico. Quindi si scoprono/riscoprono: aromaterapia, stoone-terapy, etc.
Sono interventi che spesso possono aiutare la persona a sentirsi meglio, perciò vengono considerati forme 'terapeutiche'. Spesso sono anche interventi più 'divertenti' sia per la persona sia per il 'terapeuta', quindi come dare torto agli utenti che preferiscono 'curarsi' facendosi un ballo, anziché andare dallo psicologo?!
Di fronte a questo panorama, lo psicologo come reagisce?
L'impressione è che il mondo psicologico resti allibito a guardare o si arrabbi di fronte a uno spazio lavorativo che sembra diminuire sempre più. Un'idea diffusa è vedere il campo dei bisogni psicologici come se fossero una torta: più persone ci sono a mangiare la torta e meno torta c'è per tutti. Da qui si conclude ingenuamente che troppi psicologi - o troppi concorrenti - sono un pericolo che sottrae lavoro in una situazione che è già problematica di suo.
In realtà questa visione è tipicamente da 'dipendente': esiste una fetta di mercato di cui io mi posso occupare e io devo solo fare il mio lavoro. Il mondo libero professionale richiede una logica completamente diversa.
Ma che fare?
Ad esempio analizzando le richieste e le strategie portate al CISP da parte di colleghi in 8 anni di collaborazione col CISP stesso, abbiamo notato che la maggioranza dei giovani colleghi presentava un atteggiamento di questo tipo:
- Mi lamento perché le cose non vanno come vorrei: voglio semplicemente lavorare!
- Cerco di entrare in un gruppo (Associazione, ASL, Comune, Ordine, collega/colleghi) perché in questo modo il gruppo mi manderà pazienti.
Questi due pensieri sembrano normali, all'apparenza sono pure condivisibili, eppure… Eppure portano con sé il 'germe', il seme di un fallimento: comportano un atteggiamento che nella realtà evita alla persona di poter sfruttare le opportunità che si ritrova di fronte, poche o tante che siano. Per capirne i perchè potremmo spiegare che siamo in una società post-industriale, cioè non è più sufficiente saper fare bene qualcosa perché qualcuno ti paghi per farla. Come non è più sufficiente 'sapersi vendere': bisogna andare oltre.
Fermarsi all'atteggiamento del 'mi lamento', come aspettarsi che qualcun altro ci invii persone, è un qualcosa di condivisibile, di umanamente comprensibile, ma nello stesso momento è il perpetrarsi della stessa strategia che ti porta a lamentarti, cioè si entra in una sorta di 'coazione a ripetere'.
Di fronte al perdurare di questa situazione di impasse, le direzioni che si sono prese spesso sono state:
Gioco al ribasso. Cioè mi 'svendo': lavoro sottocosto, lavoro come educatore, faccio volontariato, ecc. In questo modo forse posso fare anche lo psicologo, mi sento dentro all'ambiente… eppure mi ritrovo in una situazione che mi conferma l'atteggiamento di partenza.
Gioco al rialzo. Mi superspecializzo: corsi, master, scuola di specializzazione, ecc. Con questa strategia, alcuni sono riusciti, altri invece - la maggior parte - hanno ingigantito il malessere e la sensazione di perdita, di investimento sbagliato.
E' evidente che entrambe queste strategie non sono la scelta migliore che si possa fare.
La difficoltà pare essere proprio quella di mantenere il proprio specifico professionale, riconoscerselo, rilanciandosi.
Per questi motivi nel 2003 il CISP, insieme ad HumanTrainer.com e altre Associazioni di categoria, ha inaugurato la prima settimana nazionale dedicata prevenzione psicologica, divenuta famosa col nome di 'settimana del benessere psicologico', oggi ormai adottata da vari Ordini professionali e organizzazioni su tutto il territorio nazionale.
Una splendida occasione per gli psicologi per promuovere la propria professione e la categoria.
Però il problema non è cambiato per gli psicologi, che faticano ad utilizzare al meglio questo strumento.
Per esempio, ciò che abbiamo visto, e che abbiamo analizzato anche nel libro 'So-stare nei gruppi?' (in corso di stampa, n.d.r.), è la difficoltà degli psicologi a entrare in una logica di promozione.
I motivi principali che abbiamo identificato sono:
La TV, i mass-media. Spesso non si rivelano all'altezza, non offrono una buona immagine dello psicologo. 'Ogni volta che uno psicologo va alla TV l'impressione è che la psicologia venga tradita' (cit. da So-Stare nei gruppi?). In fondo sappiamo che non ci sono parole adeguate per esprimere pienamente ciò che accade in una seduta da uno psicologo: l'intimità e il benessere, il miglioramento della qualità della vita che ne possiamo trarre. Eppure evitare i media significa lasciare che di psicologia siano sempre e solo i non psicologi a parlarne. E se questa situazione abituasse le persone a sentire parlare di psicologia ai non psicologi...
Delego agli altri. Costruire in gruppo un progetto non è cosa semplice. Sviluppare un gruppo collaborativo non significa 'il gruppo pensa ai miei bisogni', ma 'io penso ai bisogni del gruppo', cioè da un punto di vista pratico ogni individuo deve coordinarsi con l'intero gruppo soprattutto quando si tratta di svolgere le parti meno 'psicologiche'. Per esempio nell'esperienza della settimana è stato semplice aggregare colleghi disponibili a ricevere l'utenza, più complesso è coordinare il gruppo in modo tale che si concretizzi una richiesta da parte dell'utenza.
Pubblicizzo male il mio lavoro. Ad esempio, vorrei segnalare un'iniziativa (un corso, un evento), e decido di produrre dei volantini.Quanti ne devo produrre? Cosa devo scrivere? Dove distribuirli?
Cosa propongo? Troppo spesso le proposte sono un semplice 'copia e incolla' di qualcosa che è già stato fatto. Questo accade quando si presentano progetti ad Enti (Comune, Regione, ecc.), come nella nostra attività quotidiana in studio (quanti sono i colleghi che propongono solo psicoterapia?).
Organizzare una settimana della prevenzione psicologica è prima di tutto un atto comunicativo nostro nei confronti della cittadinanza tutta, e come tale è promozione dello psicologo e della psicologia.
Spesso si confonde 'la settimana' con 'primo appuntamento gratuito', in una sorta di 'supermercato psicologico', dimenticandosi che l'utenza che arriva da un'iniziativa di questo tipo non sono 'futuri pazienti', ma anzi la maggior parte non lo diventeranno mai.
Non credo sia sbagliato dire che il vero effetto di una settimana è prima che questa avvenga: le comunicazioni, l'attenzione nel presentarsi e anche nei piccoli dettagli: come reagiranno, non le cento persone che verranno, ma le mille o le diecimila che ascoltano il nostro messaggio? Che immagine trasmettiamo di noi singoli professionisti e prima ancora della nostra categoria?
Questo articolo è una riflessione a voce alta, riflessione che nasce dalla domanda iniziale: 'Sappiamo proporre la nostra competenza professionale?' Con l'auspicio che queste riflessioni mettano in moto nuovi pensieri, vorremmo concludere con una citazione di Gatti, dell'ASL di Milano: 'Ragazzi, pensate bene a che futuro vi interessa perché il futuro condiziona il presente molto più del passato'.
Buoni pensieri a tutti!