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Il problema della diagnosi nel campo della psiche

di Anna Barracco, Piero Petrini, pubblicato il 13/09/2006, fonte Simposio, Anno 2, numeri 2-3, ottobre 2006

tag: diagnosi, psicologia, psichiatria

Nella convinzione che un serrato dibattito tra professioni che nei loro confini tendono a sovrapporsi, sia estremamente utile, foriero di sinergie e l’unico vero e valido strumento per appianare eventuali tensioni, pubblichiamo un confronto tra Anna Barracco e Piero Petrini.

Piero Petrini: Partiamo dunque da una domanda molto diretta e precisa : è utile che gli psicologi facciano diagnosi? Non sarebbe meglio che lo psicoterapeuta intervenisse solo in seguito alla diagnosi effettuata da un medico psichiatra?

Anna Barracco: ecco che la domanda, posta così, senza mezzi termini, ci porta subito “in medias res”. E’ necessario, penso, fare diverse considerazioni di cornice e diverse premesse. La legge 56/89, all’art. 1, è molto esplicita nell’attribuire allo PSICOLOGO (dunque non allo psicoterapeuta) il potere e la prerogativa della diagnosi. Ci si riferisce evidentemente alla diagnosi in ambito psicologico, quindi alla diagnosi fatta con gli strumenti psicologici e nell’ambito di fenomeni psicologici. Non si parla di psicopatologia, e questo potrebbe aprire già un ordine di questioni.

Piero Petrini: In effetti sul piano della legge, almeno in Italia, la competenza diagnostica nel campo della psiche, è dello psicologo e del medico, ma occorre distinguere il piano contenutistico-professionale, dal piano legale. Sul piano legale hanno competenza diagnostica sia gli psicologi non specialisti, che i medici non specialisti. Nella realtà, un medico generico può fare diagnosi psicopatologica, così come lo psicologo. Ciò che è in questione oggi, ciò che si potrebbe provare a ridiscutere, a problematizzare, è il potere e la prerogativa di fare diagnosi psicopatologica; di fatto, spesso gli psicologi ed i medici non specialisti hanno difficoltà a fare diagnosi. Inoltre, in alcuni casi – e ho in mente un recente fatto di cronaca – gli psicologi si sono dissociati dal condividere la responsabilità della diagnosi con lo psichiatra, sostenendo che per loro fare diagnosi è un diritto, ma non un dovere, e dunque sottintendendo che in caso di lavoro di équipe, la responsabilità (anche penale) è unicamente dello psichiatra.

Anna Barracco: sinceramente, penso che il piano giuridico e il piano contenutistico siano praticamente indistinguibili. Ciò che si delinea è, come sempre, un conflitto di interessi professionali. Dietro alla questione della diagnosi e della sua attribuzione al medico e allo psicologo c’è una questione di potere, c’è una difficoltà a stabilire i termini del coordinamento delle due figure. Uno psicologo non specialista può fare diagnosi di psicosi, accludendo alla relazione diagnostica le inferenze e le considerazioni che lo portano a questo tipo di conclusione. Nella pratica però la psicopatologia la si apprende, per gli psicologi, nelle scuole di specializzazione, è lì che lo psicologo apprende la psicopatologia.

Piero Petrini: Non so se si può dire che lo psicologo non specialista possa fare diagnosi di psicosi; non so se una relazione del genere, non corredata da documentazione medica, possa avere valore, per esempio in Tribunale. E’ vero che il corso di studi di uno psicologo psicoterapeuta e di un medico psicoterapeuta, nel corso della scuola di specializzazione, è lo stesso, però è anche vero che quasi tutti gli psicoterapeuti medici sono anche psichiatri, neuropsichiatri infantili o psicologi clinici medici, e certamente, in ogni caso, le competenze di base permettono al medico psicoterapeuta di accedere alla conoscenza e all’uso clinico della psicofarmacologia e della farmacoterapia, con tutto ciò che vi è connesso, in termini di pratica e di sapere clinico.Questo fa la differenza. In generale, comunque, anche nella legislazione di tutti i paesi Europei, è prevista la scansione in base alla quale c’è prima una diagnosi (effettuata da un medico) e un’indicazione trattamentale, poi in seguito c’è l’invio e dunque il trattamento.

Anna Barracco: E’ vero, ma qui torniamo alla necessità di distinguere il piano legale dal piano dei contenuti professionali. Anche il primo progetto di legge di regolamentazione della professione di psicoterapeuta, in Francia, il decreto Accoyer Mattei, prevedeva la diagnosi effettuata da un medico, e in seguito l’invio al trattamento. In quel caso, anzi, alla diagnosi avrebbe dovuto affiancarsi l’indicazione del trattamento più idoneo, scelto fra i tre- quattro trattamenti che sarebbero risultati scientificamente attendibili, su un piano sperimentale. Ma come sai di questo primo progetto di legge oggi non resta più nulla. Il movimento di opinione promosso dagli operatori “psi” ha messo in luce gli aspetti ideologici di questo progetto di riforma, la tendenza a portare la psicoterapia sotto il controllo della medicina e in generale a “sanitarizzare” la psicoterapia. Oggi come oggi, tuttavia, il problema si pone, perché oggi gli psicologi dell’art. 1, cioè i non specialisti, gli psicologi che escono dal quinquennio universitario, hanno la possibilità di fare diagnosi e anche diagnosi differenziale. La sanno fare? Questo è un primo problema: magari sono in grado di somministrare test o, in certi casi, di fare valutazioni neuropsicologiche. Difficilmente conoscono la psicopatologia. La possono fare? Questo un secondo ordine di questioni. Per legge, penso che nessuno glielo possa impedire, nella realtà, sappiamo bene che nel SSN solo recentemente vi è stato un pronunciamento del Ministero della Salute in base al quale è stato chiarito che le prestazioni psicologiche devono essere prescritte direttamente dagli psicologi. Ma fino a pochi mesi fa, era il medico a prescrivere i cicli di psicoterapia. Molte prestazioni psicologiche, fra l’altro, vengono ancora registrate a parte e dunque non sono visibili, non sono distinguibili dagli interventi medici e psichiatrici. Attualmente le prestazioni dei dirigenti psicologi nel Servizio Sanitario Nazionale non sono incluse nel Servizio Informativo dell’Assistenza Specialistica Ambulatoriale. Gli psicologi stanno cercando di ottenere il ricettario specifico, hanno ottenuto che le prestazioni psicologiche non passino più esclusivamente dalla prescrizione del medico, e ora devono cercare di ottenere la riconducibilità delle prestazioni anche al profilo specifico. In realtà ancora oggi io penso che il “nodo” psicologia psicoterapia, professione di base e specializzazione, non è affatto risolto, e l’avvento della normativa europea non farà che complicare le cose, a meno che non si proceda allo sganciamento della psicoterapia e al suo riconoscimento come professione autonoma.

Piero Petrini: nel resto d’Europa gli psicologi hanno molto meno potere che in Italia. La legge italiana è fra le più avanzate ed è l’unica che attribuisce pari dignità allo psicologo e al medico. Nella maggior parte degli altri Paesi, a livello del Sistema Sanitario, le prestazioni psicoterapeutiche sono controllate dai medici e dagli psichiatri e fornite da psicoterapeuti con diverse lauree, non esclusivamente medici o psicologi, formati alla psicoterapia.

Anna Barracco: Anche in una importante sentenza della Corte d’Appello di Lecce, del 23 Marzo 2005, che ha assolto una Collega dall’accusa di abuso della professione medica per aver effettuato una diagnosi di sindrome ansioso-depressiva, si legge che “una volta formatosi, lo psicoterapeuta da qualsiasi delle due facoltà universitarie provenga, è uno specialista qualificato alla diagnosi e cura dei disturbi psichici e delle malattie mentali”. Dunque l’articolazione, il legame fra la professione e la specializzazione risulta sempre più stretto. Questo complica ulteriormente le cose. Penso che la vera questione, in definitiva, sia rappresentata dalla necessità di dare alla psicoterapia una sua autonomia professionale.

Piero Petrini: Sono d’accordo. Credo che si andrà in questa direzione. Tuttavia oggi si pone un problema piuttosto serio di omogeneizzazione della formazione di base degli psicoterapeuti, che in molti Paesi d’Europa è molto diversa da quella richiesta in Italia. Peraltro in Italia , a livello del SSN la distinzione fra professione di base e specializzazione è molto netta. Lo schema laurea di base (in medicina o psicologia) e specializzazione, è già consolidato. Ci saranno le nuove specializzazioni psicologiche, occorrerà risolvere il problema della psicologia clinica, e in quell’ambito io penso sia molto sensato prevedere articolazioni diverse del profilo specialistico, in funzione delle competenze specifiche per gli incarichi nel SSN.



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