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Convenzioni
In Europa verso una professione autonoma di psicoterapeuta?
di Patrizia Adami Rook, pubblicato il 08/04/2004, fonte Babele, Aprile 2004
tag: psicoterapia, europa, eap, regolamentazione
Il Parlamento Europeo, nella seduta dell'11/02/2004 ha approvato la risoluzione legislativa per il Riconoscimento delle Qualifiche Professionali dove si prefigura una professione di psicoterapeuta sganciata sia dalla Medicina che dalla Psicologia. Dove mai stiamo andando lamenta qualcuno? E si può rispondere che forse stiamo andando a recuperare qualcosa da dove siamo venuti, qualcosa della nostra Storia che con la legge 56/89 e la relativa operazione psicologia prima - psicoterapia dopo (in quanto la psicoterapia altro non sarebbe che una funzione della psicologia) è stata francamente stravolta. Intendiamoci, non che detto stravolgimento non abbia avuto le sue buone ragioni per essere stato attuato. Ragioni giuridiche, culturali e di mercato.
Un mercato, quello della psicoterapia, bello e pronto e anche piuttosto fiorente che avrebbe costituito uno sbocco di lavoro naturale per i nuovi laureati in psicologia. Peccato non fossero stati loro a costruirlo.
Dunque? Diciamo pure che le ragioni giuridiche culturali e di mercato che ufficialmente sostennero l'operazione psicologia prima - psicoterapia dopo, non sono così uniche e così sacrosante come potrebbe sembrare a prima vista. Ci sono altre ragioni, sempre culturali giuridiche e di mercato che potrebbero risultare altrettanto sacre o quanto meno altrettanto rispettabili per sostenere che una psicoterapia, in quanto cura attraverso mezzi psichici, attraverso mezzi che agiscono direttamente sulla psiche dell'uomo, come la definì Freud inventando la psicanalisi (chiamata da lui anche metodo analitico di terapia) possa vedersi come una disciplina autonoma e richiedere una formazione che comprenda, sì, conoscenze e competenze psicologiche ma non per questo vincolata alla sola laurea in psicologia.
Quale allora il futuro delle professioni di ambito psicologico? Certo l’Europa ci spinge verso una radicale riorganizzazione delle nostre professioni. Non del loro contenuto scientifico culturale, e non della loro capacità di fornire utili prestazioni al contesto sociale ovviamente, ma del loro interfacciarsi con la società civile.
Sintetizzando al massimo stiamo passando da un sistema ove gli stati (chi più chi meno, l'Italia comunque è emblema di tale modello organizzativo) concedono a determinati gruppi professionali l'esclusiva di intervento in determinati settori, ad un sistema ove gli stati registrano i modelli autoorganizzativi dei vari gruppi professionali. Il passaggio non è facile in quanto debbono comunque essere conservate ed anzi potenziate le garanzie per i cittadini clienti utenti ed al contempo deve essere evitata qualunque forma chiara o mascherata di monopolio nell'esercizio delle professioni. Il passaggio comporta, almeno per noi italiani, di confrontarsi con una vera e propria rivoluzione culturale. Proviamo a definire gli elementi cardine di tale rivoluzione:
- da un sistema uniformante a un sistema di valorizzazione delle diversità
- da un sistema centrato sull'autorizzazione a un sistema centrato sull'accreditamento
- da un sistema centrato su Ordini e Leggi a un sistema centrato su Associazioni e ostensibilità di regole autoimposte
- da un sistema centrato sui requisiti di accesso alla professione a un sistema centrato sul mantenimento dei requisiti nel tempo
- da un sistema centrato sui titoli accademici di base a un sistema valorizzante la formazione nel corso della vita e l'esperienza professionale
- da un sistema generalista a un sistema di individuazione delle specificità professionali
- da un sistema ingessato da pochi rigidi parametri ad un sistema di mobilità intra e interprofessionale caratterizzato dal costante aggiornamento dei curricula individuali
- da un sistema a tariffa imposta a un sistema a tariffa di mercato
Si potrebbe andare avanti ma già quanto detto rende l'idea di ciò che ci troviamo ad affrontare. Ovviamente il dibattito è articolato ed i segnali non sono univoci. Lo stesso emendamento sulla psicoterapia approvato dal Parlamento Europeo che ben si colloca nel panorama descritto, non necessariamente alla fine avrà la meglio. Nell'attuale fase del dibattito va letto come un segnale. Certo vi è dietro una lobby che ne ha sponsorizzato l'inserimento, ma tale lobby si confronta con altre che vorrebbero invece frenare, proporre all'Europa il nostro attuale modello. Ne uscirà alla fine un qualche compromesso che potrebbe anche essere buono.
I nostri lettori sanno che noi siamo favorevoli all'ampliarsi ed al differenziarsi delle professioni di ambito psicologico e vediamo bene che la psicoterapia, forte anche di una sua storia, voglia autonomamente definirsi. Il MoPI ha lavorato molto, in questi ultimi dieci anni, all'autonomizzazione del Counseling, della Mediazione Familiare e vediamo con soddisfazione il fatto che l'emergere di nuove professioni di ambito psicologico o l'autonomizzarsi di antiche, lungi dall'impoverire la nostra comunità la pone invece al centro di un movimento di grande interesse sociale. Stiamo fornendo modelli di professionalizzazione per le discipline che si richiamano alle scienze umane. Per le discipline che pongono al centro del loro 'fare' la relazione tra esseri umani.
Una psicoterapia come professione autonoma, oltre a vivere più in armonia con le proprie epistemologie e con la sua storia, non rappresenterebbe affatto un pericolo per la psicologia professionale ma rappresenterebbe semmai un rafforzamento del gruppo delle professioni di ambito psicologico. Insomma differenziare non impoverisce. Sopratutto se noi che osserviamo il fenomeno, anziché ostacolarlo, ci poniamo il problema di costruire luoghi di incontro ove tutte le professioni di ambito psicologico possano confrontarsi e trovare reciproca forza.
Costruire reti che evidenzino le diversità ma che risiedano in un luogo comune, educare i professionisti all'evidenziazione ed alla valorizzazione della specificità della loro formazione e della loro quotidiana attività professionale, affermare l'indispensabilità dell'aggiornamento permanente mirato (in questo senso correggendo anche certe storture introdotte dal sistema ecm), chiedere alle nostre strutture di orientarsi verso la certificazione di qualità, ecco alcune delle cose che possiamo fare per andare incontro al nuovo, senza tagliare col passato, con più fiducia e senza lamentevoli recriminazioni.
L’articolo è stato tratto da un dibattito tra colleghi comparso sulla ML PsicoProf.