Iscrizione

Servizi

Archivio

Convenzioni


L'Ordine degli psicologi punta di diamante nel processo di revisione del sistema ordinistico

di Rolando Ciofi, pubblicato il 16/12/2003, fonte Simposio n° 11, Primavera 1999

tag: riforma professioni, ordini, associazioni, deregolamentazione

La rivista 'Tema' mi ha offerto uno spazio, che ben volentieri utilizzo, per provare a riflettere, fuori dai consueti e molto caratterizzati canali di informazione della categoria, su come l'Ordine degli Psicologi, penultimo nato nel campo delle libere professioni regolamentate (l'ultimo è quello degli Assistenti Sociali che ha visto la luce nel 1993), potrebbe porsi in vista del dibattito che fatalmente porterà, in un futuro non remoto, ad una radicale trasformazione dell'organizzazione e delle normative inerenti le professioni intellettuali. L'argomento generale è di grande attualità sia perché il nostro ingresso, ormai a pieno titolo, in Europa, non potrà essere senza conseguenze quanto ad armonizzazione degli ordinamenti, sia perché la società italiana dell'ultimo decennio, indipendentemente e talora malgrado il colore politico dei suoi Governi, inesorabilmente si muove verso la riscoperta e la valorizzazione delle regole del libero mercato e sempre più mostra insofferenza verso vecchie forme di protezionismo e o corporativismo. Si tratta di questioni di portata molto ampia, rispetto alle quali la categoria degli psicologi è certo marginale, ma potrebbe darsi, una volta tanto, che il 'neofita' non sia 'più realista del re', più conservatore dei conservatori?. Potrebbe darsi che un Ordine, nato da poco sulla scia di istanze già superate al momento della sua stessa nascita, prendendo atto del cambiamento in corso sappia farsi interprete di ciò che oggi la società chiede alle professioni? Che sappia offrire spunti di riflessione a categorie ben più strutturate quali quelle dei medici, dei notai, degli avvocati, dei farmacisti etc? Voglio tentare di ragionare in questi termini: Sappiamo che si tratta di una sfida fantapolitica, comunque una sfida che appassiona.

Chi scrive ama molto la psicologia. Nella nostra società c'è ancora molto spazio per la psicologia ed anzi non è difficile pronosticare che, parallelamente all'affermarsi, in ogni settore, del paradigma della soggettività, vi sarà una affermazione sempre maggiore delle discipline psicologiche e dunque delle professioni a tale paradigma saldamente legate da cento anni di evoluzione culturale. Ben vengano dunque i settantamila studenti in psicologia che attualmente frequentano i corsi di laurea italiani, essi sono la concreta dimostrazione di quanto l'intera collettività stia mandando concreti segnali di 'voglia di psicologia'. So bene che tanto entusiasmo non è condiviso dalla maggior parte dei dirigenti degli Ordini degli psicologi i quali, in nome della qualità della professione, vedrebbero di buon occhio misure contenitive, ma è proprio tale logica che intendo provare a mettere in discussione. Ritengo infatti, e questo non vale solo per la professione di psicologo, che la logica della limitazione all'accesso al mercato, della compressione della concorrenza, dello sfruttamento dei giovani professionisti attraverso varie forme di coazione (dal tirocinio spesso non professionalizzante, al divieto di pubblicità, all'imposizione di tariffe minime etc..), sempre meno risponda a esigenze di tutela del consumatore e sempre più sia da inquadrare come retaggio corporativo che alla lunga dispiega i suoi effetti negativi anche sulla stessa categoria che attua tale politica.

Ma certi stereotipi culturali sono duri a morire. Così, in nome della qualità, termine ormai diventato quasi magico, si continua ad ingaggiare battaglie contro tutto quanto cada, solo perché innovativo, in odore di eretico, selvaggio... di bassa bottega...

E poi parlare di qualità della professione rende sempre. Paga in termini di immagine. Il cliente si sente rassicurato dal professionista che pronuncia la magica parola. Quest'ultimo quando parla di qualità manda chiaro un messaggio di competenza. Messaggio tanto inverificabile quanto 'forte'. Parlare di qualità consente infatti di affermare ciò che esplicitamente non sarebbe opportuno dichiarare 'Io sono bravo... gli altri invece...'. Affermazioni implicite rispetto alle quali non è necessario fornire alcuna prova.

Ma vogliamo davvero approfondire cosa significhi qualità nell'ambito di una professione liberale?

Certo non significa difesa dei minimi tariffari o del divieto di pubblicità, modi ingenui e non più accettabili questi per mettere in mora le regole del mercato o per lo meno per aggirarle 'furbescamente' attraverso la garanzia di un reddito minimo a favore delle categorie protette dalla disciplina ordinistica ed in particolare dei personaggi più in vista di tali categorie.

Difesa della qualità della professione dovrebbe invece essere certificazione degli standard, garanzia nei confronti del cittadino utente che il professionista che appartiene a un determinato Ordine non solo ha determinati requisiti professionali, ma si tiene costantemente aggiornato, si attiene ad un preciso ed ostensibile codice deontologico. Ma c'è di più. La difesa della qualità della professione dovrebbe consistere anche nell'offerta al professionista di continui momenti di formazione, nell'impegno del professionista a investire in tal senso, nel rapporto dialettico e paritario con le altre professionalità.

E tutto ciò ci porta ad un'ovvia considerazione: Posto che nessun Ordine ha poteri di abilitazione all'esercizio della professione (materia questa specificamente riservata dall'art. 35 della Costituzione all'esame di stato) quale è il legame tra obbligatorietà di iscrizione all'Ordine e difesa della qualità della professione?

Se escludiamo i rari casi che l'Antitrust ha definito di asimmetria informativa e dei quali tratteremo più oltre, possiamo tranquillamente dire che non vi è alcun legame. Anche se a prima vista può apparire incomprensibile la qualità potrebbe essere meglio difesa, come tenterò di dimostrare, se l'iscrizione agli Ordini non fosse obbligatoria. Potremmo intanto prendere in considerazione il fatto che se la mancanza di iscrizione all'Ordine non inibisse l'esercizio della professione agli abilitati, gli Ordini potrebbero chiedere molto di più in termini di qualificazione e formazione permanete ai propri iscritti.

Proviamo a riflettere: L'obbligo di iscrizione all'Ordine per potere esercitare una professione ha due immediate conseguenze sul piano della qualità della professione stessa. La prima conseguenza, di tipo etico, è (o dovrebbe essere) positiva. La società ottiene garanzie che tutti i professionisti di un certo settore, e si parla dei comparti più delicati della convivenza civile, rispondono ad un codice di etica professionale più restrittivo e più volto alla tutela dell'utente – cliente di quanto non lo siano il codice civile ed il codice penale. La comunità professionale vigila sull'osservanza del codice deontologico da parte dei singoli professionisti e lo stesso cittadino, ove insorgano conflitti con il professionista, può appellarsi a tale codice.

Se non fosse che assai spesso la giustizia interna alle professioni tende a trasformarsi in faida, il sistema è da considerarsi, nella sua fattispecie astratta, teso a salvaguardare la qualità (etica) della professione.

Stesso risultato potrebbe però essere ottenuto anche se l'iscrizione all'Ordine non fosse obbligatoria, sia perché le eventuali associazioni professionali 'libere' avrebbero tutto l'interesse a dotarsi di un codice deontologico, sia perché tali codici avrebbero maggior peso in quanto scelti e non subiti dai singoli professionisti, sia ancora perché sarebbe interesse di associazioni tra loro concorrenziali di offrire alla società codici di comportamento autenticamente protesi alla tutela dell'utenza (vale la pena ricordare che molte norme degli attuali codici deontologici sono a tutela della corporazione professionale più che dell'utenza).

La seconda conseguenza derivante dall'obbligo di iscrizione all'Ordine riguarda la qualità della prestazione professionale.

La qualità del prodotto, nel campo delle professioni liberali, è strettamente collegata ad alcune caratteristiche del professionista, le principali delle quali potrebbero essere:

  • La competenza intellettuale (e dunque l'informazione, la formazione e l'aggiornamento)
  • La competenza esperenziale (esperienza pratica, dimestichezza con procedure e tecniche)
  • La competenza personale (attitudine alle relazioni umane, creatività)
Nessuna associazione professionale, sia essa libera od obbligatoria, potrà offrire all'utente indicazioni inerenti quella che ho definito competenza personale poiché siamo nel campo delle differenze di personalità, ovviamente non discriminabili nel tipo di contesto di cui stiamo trattando.

Ma se ci limitiamo all'analisi dei primi due aspetti in rapporto all'obbligo di iscrizione all'Ordine, vediamo come tale obbligo renda sostanzialmente vano ogni tentativo di tutelare l'utente sotto il profilo della qualità della prestazione, o meglio di consentire all'utente di orientarsi tra diversi livelli di qualità possibile. Rende inoltre sostanzialmente impossibile agli Ordini di occuparsi seriamente dell'aggiornamento permanente dei propri iscritti.

Infatti se l'adesione ad una associazione è libera, altrettanto libera sarà la facoltà per tale associazione di accettare iscritti fissando i requisiti minimi di ingresso, come di imporre ai propri iscritti, pena la decadenza, un monte ore annuo di aggiornamento, e ancora di creare al suo interno i più svariati elenchi divisi per competenze, titoli e quant'altro occorra.

L'adesione volontaria ad una libera associazione consente insomma a quest'ultima l'introduzione di molti strumenti che vanno a difesa della qualità della prestazione poiché il socio che non volesse adeguarsi non si vedrebbe inibita la possibilità di lavorare (ricordiamo che si tratta comunque di un abilitato, dall'esame di stato, all'esercizio della professione), ma semplicemente non godrebbe più del prestigio sociale che l'iscrizione a quella determinata associazione gli avrebbe conferito.

L'Ordine al quale sia obbligatorio iscriversi non potrà mai articolarsi con tanta efficienza e sostanziale ricerca della elevazione degli standard qualitativi. E ciò perché mentre il sistema professionale basato sulla libera concorrenza tra associazioni si fonda su scelte politico professionali, il sistema ordinistico a iscrizione obbligatoria condizionante l'esercizio della professione si fonda appunto sull'obbligo. E' dunque fatale che presto scivoli verso la corporazione. Tanto per fare un esempio è certo più semplice deliberare circa le tariffe minime e massime che attorno all'obbligo per i colleghi di aggiornarsi periodicamente.

Prendiamo il caso dell'Ordine degli Psicologi. In sei anni di vita l'unica attività di tale Ordine è stata quella, peraltro fallita grazie all'intervento del Parlamento, di tentare di erigere solidi steccati a tutela degli interessi, o presunti tali, di coloro che hanno avuto la ventura di trovarsi 'dentro' a scapito di coloro che sono rimasti 'fuori'. E dico interessi presunti, e non sempre a ragione, perché è come se 'l'essere dentro' e l'essere dentro in minore numero possibile, costituisse di per sé garanzia di qualità per gli utenti e di lavoro per i professionisti. Ma non è così semplice.

La società ha avuto di questa lotta l'immagine di una categoria tutta tesa a difendere la qualità della professione di psicologo? Niente affatto. Siamo arrivati al colmo che mentre il Presidente dell'Ordine Nazionale tuonava contro quei colleghi che ha poi dovuto accettare all'interno dell'Ordine, un'attrice, Catherine Spaak, li difendeva dichiarando ad un giornale (il quotidiano La Repubblica, 10 marzo 1998) Non è un mondo di briganti!

Non sarebbe stato meglio se invece, in un sistema nel quale l'iscrizione all'Ordine fosse stata facoltativa, il Presidente avesse potuto dar vita all'Ordine che a lui più piaceva, accettandovi solo chi riteneva maggiormente qualificato (ma sulla base di quali criteri, di quali interessi, di quali accordi?), non essendo costretto ad accettare abilitazioni rilasciate dall'Università ma da lui non ritenute sufficientemente abilitanti...?

E se altri colleghi abilitati all'esercizio della professione avessero potuto dotarsi di analoga e magari contrapposta associazione?

Peraltro si sarebbero risolti anche molti problemi interni alla categoria essendo in molti a ritenere che l'Ordine degli Psicologi sia finito nelle mani di non brillanti funzionari delle Aziende Sanitarie Locali che poco hanno a cuore, e perfino poco conoscono, i grandi temi del versante libero professionale della psicologia.

Sto disegnando, e me ne rendo conto, un panorama fantapolitico, un panorama entro il quale il concetto stesso di Ordine, così come noi siamo abituati ad intenderlo, pare sfumare.

Ma sarebbe riduttivo etichettare semplicisticamente tutte le istanze rappresentate dall'attuale sistema ordinistico come corporative. In realtà gli Ordini professionali hanno nel nostro paese una antica tradizione risalente al medioevo, e la legislazione del settore, in buona parte frutto del clima politico culturale della prima metà del secolo, è tesa sì a tutelare i professionisti sino al punto di consentire loro una sostanziale autoregolamentazione, ma ciò in virtù del fatto che si riconosce agli stessi professionisti una competenza attorno ad esigenze primarie del singolo e della collettività (vedasi il settore della salute, quello della giustizia etc..). Il problema va dunque affrontato tenendo presente che la società, per quanto liberale, ha il diritto ed il dovere, anche oltre ed anche in deroga al generale principio del libero mercato, di garantire ai singoli cittadini prestazioni professionali rigidamente controllate e obbligatoriamente sottoposte a continua verifica nei settori primari dell'esistenza.

Ma la società ha altresì diritto, ancor più poiché tali settori sono così delicati da essere costituzionalmente garantiti, di non essere imbrogliata. Ha diritto e dovere di vigilare affinché la qualità non possa essere strumentalmente invocata a tutela di mere rendite di posizione.

Dovrà essere dunque valutato, alla luce dell'evoluzione socioculturale quali siano i settori primari, quali debbano essere le regolamentazioni 'speciali' e se il sistema, per quello che attualmente è, sia davvero al servizio della collettività o se non si sia un po' troppo sbilanciato verso l'accumulo di privilegi non sempre giustificati.

Una attenta ed accurata analisi dello 'stato dell'arte' è stata svolta dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, nella sua indagine conoscitiva sugli Ordini e Collegi Professionali ha messo in evidenza i punti che di seguito sinteticamente riassumo:
  • Il settore dei servizi professionali è in crescita in tutto l'occidente e si sta internazionalizzando.
  • Sia pure con vari distinguo il libero professionista è assimilabile all'imprenditore e gli Ordini sono dunque da considerarsi anche come associazioni di imprese.
  • L'Italia importa servizi professionali e ciò è riconducibile ad una restrittività della regolamentazione del settore nel nostro paese. In particolare elementi restrittivi sono considerati le tariffe obbligatorie minime, l'impossibilità di applicare tariffe che prevedano obbligazione di risultato, il divieto di pubblicità, il divieto di forme organizzative di tipo societario per l'esercizio delle libere professioni, il tirocinio scarsamente professionalizzante, l'obbligatorietà di iscrizione all'albo anche per attività per le quali non sia previsto un controllo dell'esercizio.
  • ...un ripensamento complessivo e profondo dell'istituzione 'Ordine' risulta oggi improcastinabile, soprattutto in considerazione delle mutate condizioni dei mercati e della crescente importanza attribuita ai principi della libertà di iniziativa economica e della concorrenza nella consapevolezza che il mancato rispetto delle regole concorrenziali, di norma, limita l'efficiente svolgimento delle attività economiche.
  • La regolamentazione (e dunque la sopravvivenza degli Ordini) è sostenibile solo se sana imperfezioni del mercato la principale delle quali è l'asimmetria informativa a sfavore del cliente. Ma anche in tal caso sarebbe opportuno non ricorrere a regolamentazione quando vi siano strumenti alternativi per perseguire l'interesse generale. Comunque non si può parlare di asimmetria informativa nel caso di servizi resi alle imprese né quando, in servizi resi al consumatore individuale la domanda possa essere dilazionabile nel tempo e dunque tale per cui il consumatore abbia maggiore possibilità di chiedere opportune informazioni sulla qualità dei servizi prima del loro utilizzo.
  • Occorre una possibilità elastica di riconoscimento di professioni non regolamentate che non ricalchi il modello degli Ordini Professionali o degli Albi. Il suggerimento è quello di riconoscere associazioni delle professioni non regolamentate che rispondano a determinati requisiti (abbiano criteri di accesso, standard di formazione, codice deontologico etc..) e che possano agire sul mercato anche in concorrenza tra loro (più associazioni insistenti sullo stesso segmento o professione).
Queste le principali indicazioni e riflessioni dell'Autorità, concetti tutti ribaditi con altro successivo atto, che tra l'altro esprime parere sfavorevole circa l'istituzione degli Ordini dei Sociologi e dei Pedagogisti e nel quale ancora si specifica che ...la variegata esperienza europea indica che i paesi caratterizzati da assetti regolamentativi più rigidi, come l'Italia e la Grecia, sono anche quelli che registrano i tassi di crescita del reddito più modesti, con conseguenze negative sui livelli occupazionali. Il successivo disegno di legge elaborato dalla commissione sulla riforma degli Ordini Professionali recepiva (almeno in linea di principio) integralmente le raccomandazioni dell'Autorità Garante e prevedeva anche una bozza di normativa per il riconoscimento delle professioni non regolamentate.

Questo dunque lo stato attuale del dibattito in materia. Valorizzazione dell'esame di stato come il vero momento abilitante alla professione, riduzione del numero degli Ordini e delle loro competenze, revoca della obbligatorietà di iscrizione all'Ordine (tranne che per alcuni settori che dovranno essere ben definiti), investimento su percorsi alternativi di accreditamento sociale delle professioni.

Come collocare l'Ordine degli Psicologi all'interno di tale contesto?

Facciamo intanto una breve premessa: gli psicologi iscritti all'Ordine sono in Italia circa 30.000. I professionisti tradizionali (quelli appartenenti alle professioni regolamentate) sono 1.413.000 e i professionisti che operano in settori non regolamentati sono 1.800.000. Per dare una idea solo quantitativa del rapporto tra psicologi ed altre professioni può essere utile pensare come ad esempio tra le professioni regolamentate i medici siano 320.000 mentre tra quelle non regolamentate le sole associazioni già accreditate presso il CNEL (85) rappresentano circa 1.000.000 di professionisti (mediamente 12.000 professionisti per associazione).

Siamo dunque una categoria piccola ma in forte espansione (ricordiamo i 70.000 iscritti ai corsi di laurea) che da un punto di vista della storia della professione (e forse anche della cultura) ha più stretti collegamenti e scambi con le professioni non regolamentate di quanti ne abbia con le professioni tradizionali. Basterebbe pensare ai costanti collegamenti e talvolta sovrapposizione di ruoli con pedagogisti, sociologi, counselor, mediatori, formatori aziendali, educatori, periti grafici, esperti di comunicazione etc, attività queste che certamente otterranno (e talune hanno già ottenuto) l'accreditamento presso il CNEL.

Cosa è invece che ci apparenta strettamente alle professioni tradizionali?

Certamente l'eterna dialettica con i medici per il ruolo sanitario che lo psicologo svolge all'interno della Aziende Sanitarie Locali. C'è poi la questione psicoterapia, attività specialistica questa nel nostro paese di competenza di medici e psicologi adeguatamente formati, che indubbiamente, stando ai parametri dell'Antitrust e del disegno di legge Mirone, meriterebbe il mantenimento di una regolamentazione in quanto prestazione resa al singolo individuo, la cui domanda spesso non è dilazionabile nel tempo e potenzialmente suscettibile di introdurre nel rapporto professionista cliente notevoli asimmetrie informative a sfavore dell'ultimo. Ma la questione psicoterapia andrà affrontata e risolta a livello più ampio di quello nazionale poiché molto diversificata è la legislazione sul tema dei vari paesi membri della CEE. Vi è infine l'attività psicodiagnostica attività per molti versi 'iniziatica' se è vero come è vero che non solo essa è competenza dello psicologo ma a questi, come riconosciuto dalla stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, è fatto divieto ....... alla diffusione di test psicologici, la cui conoscenza da parte del pubblico potrebbe inficiarne la validità... .

La professione di psicologo è dunque terra di confine. Spesso questo professionista si occupa di formazione, di mediazione, di consulenza, di educazione e di una altra serie di attività che vengono legittimamente svolte anche da non iscritti all'Ordine degli psicologi. Ma altrettanto spesso si occupa di settori delicati poiché direttamente incidenti su bisogni sociali primari quali la sanità, in essa comprendendo la psicoterapia e la psicodiagnostica.

Non solo la professione, ma anche le discipline psicologiche sono terra di confine. Mi spiego meglio. Ogni disciplina ha, oltre ad una più o meno complessa strumentazione tecnica, una propria mission di tipo sociale. Ad esempio la medicina nelle sue varie articolazioni ha come mission il miglioramento della qualità complessiva della vita attraverso il continuo perfezionamento delle diagnosi delle terapie e più in generale delle condizioni igienico sanitarie.

Analogamente anche l'ingegneria e l'architettura forse con strumentazioni diverse, forse da diversi punti di vista, puntano al miglioramento della qualità della vita attraverso il miglioramento delle strutture fisiche.

Si potrebbero fare altri esempi, ma ciò che mi preme sottolineare è che alcune discipline, come quelle citate appunto, non hanno nel loro corpus un anelito alla trasformazione globale della società, pretendono di intervenire su settori che, sia pure importantissimi anche per l'influenza sull'evoluzione sociale, rimangono parziali.

Fondamentalmente per questo motivo esse non contengono in sé alcuna controindicazione etica alla regolamentazione.

Altro problema è poi il valutare se le professioni che ne discendono debbano essere regolamentate o meno, se tale regolamentazione debba essere totale o parziale, rigida od elastica. Il fatto di rilievo è che siamo all'interno di sia pur nobilissimi 'comparti' e può essere discutibile ma non immorale a priori che tali comparti diventino riserva di alcuni professionisti piuttosto che di altri.

Ma vi sono altre discipline quali ad esempio l'economia, il diritto, la filosofia la mission delle quali è tout court il miglioramento della qualità della vita e la trasformazione sociale. Gli strumenti principali di tali discipline sono assolutamente universali: il pensare, l'intraprendere, il legiferare ed il governare. Sarebbe prima di tutto impossibile e poi eticamente inaccettabile immaginare una regolamentazione professionale di politici e imprenditori di poeti o filosofi poiché da tempo ormai abbiamo accettato che in capo ad ogni singolo cittadino, prescindendo da ogni sua altra qualificazione, sta il diritto alla iniziativa economica, il diritto alla partecipazione politica, il diritto alla libera espressione delle proprie idee e così via. Dunque discipline che, avendo obiettivi di intervento globale sulla società, portano con sé una precisa controindicazione etica a rendersi riserva esclusiva di alcuni professionisti.

Ma è pur vero che anche in questi campi occorre una strumentazione tecnica altamente complessa e che si va ad incidere su settori esiziali della vita dei cittadini. La società italiana, e le società occidentali nel loro complesso hanno risolto il problema sostanzialmente normando ed affidando ad alcuni specifici professionisti, alcune specifiche funzioni incluse nella disciplina. Accade così che nel campo del diritto avvocati e magistrati (due categorie professionali normate) si occuperanno della amministrazione della giustizia ma professioni anche più prestigiose quale quella del politico (o meno prestigiose come quella del consulente o del tributarista) rimangono professioni non regolamentate.

Altrettanto si potrebbe dire per il mondo dell'economia.

In sostanza mentre ai medici è sostanzialmente riservata la disciplina della medicina, ben diverso è il rapporto intercorrente tra avvocati e diritto.

In altri termini si potrebbe dire che alcune discipline più settoriali sono prevalentemente riserva di una categoria professionale mentre altre, più globali, vedono al loro interno l'interazione di categorie professionali normate (cui sono riservate specifiche funzioni) e categorie professionali non regolamentate.

Torniamo ora alla psicologia ed agli psicologi. A mio avviso non vi è dubbio che siamo all'interno di una disciplina che ha una mission di trasformazione globale della società. Siamo nel pieno del paradigma della soggettività, siamo nel campo della trasformazione e del cambiamento, la psicologia, come la filosofia, il diritto, l'arte, l'economia, si interessa di ogni segmento della vita umana. Essa non può essere dunque patrimonio di una sola categoria professionale. Ma vi sono, all'interno delle discipline psicologiche alcune funzioni che possono e probabilmente debbono essere affidate come riserva ad un gruppo professionale. Vediamole:
  • E' certamente ragionevole pensare ad una regolamentazione della psicoterapia anche se non è detto che tale regolamentazione debba prevedere l'esclusiva per medici e psicologi come attualmente accade in Italia. Il problema della regolamentazione andrà discusso all'interno della CEE senza pregiudizi per addivenire ad una armonizzazione dei diversi approcci alla materia. E' poi da considerare che a fianco di una psicoterapia regolamentata (con specifica riserva di certificazione) non potranno non consentirsi forme libere di relazione d'aiuto quali il consueling etc..
  • E' certamente sensato riservare l'uso dei test ad una specifica categoria professionale anche e soprattutto per non invalidarne i possibili risultati.
C'è altro da aggiungere alla lista? Ci sono tutte le competenze che l'art. 1 della legge 56/89 riserva agli psicologi, competenze che qualificano con forza la professione ma che non possono essere viste nell'ottica della stretta riserva di mercato.

Occorre un Ordine per garantire il cittadino relativamente ai punti descritti? Il mio parere è che mentre sarebbe più che sufficiente l'esame di stato per garantire la professionalità generale e la specifica riserva per quegli psicologi che si occupano di psicodiagnostica, più complessa appare invece la questione psicoterapia.

Credo che tutti gli psicoterapeuti concordino sul fatto che, a tutela degli utenti, per lo svolgimento della professione occorre sia un controllo sui requisiti di ingresso sia un controllo sul mantenimento dei requisiti nel tempo, sia un aggiornamento permanente. Siamo insomma in un campo estremamente delicato, in un certo senso contraddittorio, tanto difficile da regolamentare quanto necessitante di una qualche forma di regolamentazione.

Alla luce del quadro descritto quale potrebbe essere la collocazione dell'Ordine Nazionale degli Psicologi all'interno del dibattito che si aprirà circa la riforma degli Ordini Professionali?

Prima di passare a proposte concrete che a molti colleghi appariranno certo rivoluzionarie ancora una volta voglio ribadire, a scanso di equivoci, che una cosa è l'abilitazione all'esercizio della professione di psicologo (titolo rilasciato dalle Università a seguito del superamento dell'esame di stato), altra cosa è l'Ordine degli Psicologi (Ente al quale gli abilitati sono tenuti obbligatoriamente ad iscriversi se vogliono esercitare). L'eventuale abolizione dell'Ordine non necessariamente dovrebbe portare, ed io sarei contrarissimo che portasse, all'abolizione dell'esame di stato. Ne consegue che qualunque sia il destino dell'Ordine per fare lo psicologo occorrerebbe comunque la laurea in psicologia e la successiva abilitazione (oppure, per gli 'anziani', l'abilitazione presa ai sensi degli articoli, ormai non più applicabili, 32, 33, 34 della legge 56/89). Ne consegue ancora che l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità ...nonché le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito (Art. 1 L. 56/89 Definizione della professione di psicologo) rimarrebbero in ogni caso competenza degli psicologi in possesso di regolare abilitazione all'esercizio della professione.

Ma in assenza di un Ordine che detta le regole della corporazione, l'interpretazione di tali competenze non potrebbe più essere mirata ad 'ingessare' il mercato, ed il rapporto sia all'interno della professione che con le professioni limitrofe diverrebbe inevitabilmente più dialettico.

Fatte queste precisazioni provo ora a riassumere in una breve sintesi per punti quella che riterrei essere la linea politica più adeguata e a mio avviso foriera di grande sviluppo per le discipline psicologiche e dunque anche per gli psicologi.
  • Occorrerebbe intanto affermare che il mantenimento dell'Ordine degli Psicologi non è un dogma. La categoria professionale degli psicologi svolge comunque alcune funzioni molto delicate che abbisognano di una regolamentazione. Il mantenimento dell'esistenza dell'Ordine può essere quindi, se non indispensabile, giustificato.
  • L'Ordine Nazionale degli Psicologi potrebbe poi dirsi favorevole alla abolizione dell'obbligatorietà dell'iscrizione da parte degli abilitati all'esercizio della professione. Allo stato dei fatti e finché non intervenga una normativa comunitaria in materia l'Ordine potrebbe però ritenere che l'iscrizione debba essere mantenuta come obbligatoria per i soli psicologi psicoterapeuti.
  • Chiarito il punto della parziale non obbligatorietà dell'iscrizione, l'Ordine Nazionale degli Psicologi potrebbe dirsi favorevole alla separazione netta tra struttura di governo dell'Ordine stesso e struttura disciplinare.
  • Analogamente sarebbe da accogliere favorevolmente la abolizione del divieto di pubblicità.
Una volta chiarito il quadro normativo e dopo avere così snellito l'apparato ordinistico sarebbe a mio avviso opportuno introdurre nel dibattito aspetti fortemente propositivi.

Nell'intento di enfatizzare tali indicazioni le riporto di seguito come fossero espressione di una chiara volontà già acquisita.
  • L'Ordine Nazionale degli Psicologi, in collaborazione con le strutture formative in ambito psicologico, intende organizzare per i propri iscritti un sistema di formazione permanente individuando un minimo di ore annue di aggiornamento senza lo svolgimento delle quali l'iscrizione all'Ordine non potrà essere mantenuta.
  • L'Ordine Nazionale degli Psicologi intende favorire lo sviluppo della professione dei propri associati attraverso una campagna pubblicitaria informativa permanente, attraverso la creazione di servizi per i propri iscritti, attraverso la concessione di patrocinio ad iniziative particolarmente qualificate, attraverso lo svolgimento di iniziative culturali centrate sulla psicologia e rivolte al grande pubblico.
  • L'Ordine Nazionale degli psicologi intende trovare forme di collaborazione, da esplicarsi attraverso specifici accordi, sinergie e o patrocini, intese su standard di formazione psicologica e quant'altro nell'interesse delle discipline psicologiche e degli operatori coinvolti, con quelle Associazioni rappresentative delle professioni non regolamentate, accreditate presso il CNEL.
  • L'Ordine Nazionale degli Psicologi intende favorire lo sviluppo di nuove Associazioni di professioni non regolamentate che si richiamino alla Psicologia ed assisterle nel loro percorso di accreditamento presso il CNEL.
  • L'Ordine Nazionale degli Psicologi intende sostenere con iniziative di patrocinio permanente o di patrocinio su iniziative, quelle associazioni sindacali e o di categoria che lavorano nell'interesse degli abilitati alla professione di psicologo e o dei professionisti aderenti ad associazioni accreditate presso il CNEL nei confronti delle quali l'Ordine ha un qualche accordo di collaborazione e o di sinergia.
  • L'Ordine nazionale degli Psicologi intende promuovere la possibilità di adesione all'ENPAP da parte di quei professionisti aderenti alle associazioni accreditate presso il CNEL nei confronti delle quali l'Ordine ha un qualche accordo di collaborazione e o di sinergia.
Ritengo che non occorra grande fantasia per comprendere che se l'Ordine degli Psicologi si muovesse da subito lungo queste direttrici (che certo sono molto lontane dal suo attuale operare e pensare) il servigio reso alla psicologia ma anche agli psicologi sarebbe notevole. Nulla del lavoro fino ad oggi svolto andrebbe perduto, allo stesso punto rimarrebbe il dibattito sulla psicoterapia e sugli altri temi 'scottanti' che la categoria sta affrontando, ma al contempo la nostra categoria e la nostra disciplina diventerebbero 'polo di attrazione' per molte decine di migliaia di colleghi che di fatto gravitano sui confini, professionali e culturali, della psicologia. Con un ritorno di lavoro, di prestigio e di immagine tale da far dormire sonni tranquilli anche ai colleghi che in modo maggiormente preoccupato guardano ai 70.000 studenti che affollano le nostre Università.

Ma si tratta di fantapolitica.

E' probabile che Medici, Avvocati Notai e Farmacisti, possano continuare a dormire sonni tranquilli. Essi non subiranno l'affronto di vedere il piccolo Ordine degli Psicologi ingigantirsi ed improvvisamente diventare un grande referente per la riforma delle professioni nel nostro paese.

Noi psicologi, a chi ha idee così strane, permettiamo al massimo di scrivere articoli di fantapolitica. E con attenzione. Si potrebbe incorrere in qualche procedimento disciplinare...



Cerca

Cerca tra i contenuti presenti nel sito


 

CSS Valido!