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Dell'uso del procedimento disciplinare: la risposta di Calvi

di Eugenio Calvi, pubblicato il 25/05/1999, fonte Simposio n° 11, Primavera 1999

tag: procedimento disciplinare, codice deontologico, ordine degli psicologi

Gentile Collega, leggo sul numero 11 (gennaio-aprile 99) di Babele il testo della lettera da Lei indirizzatami qualche tempo fa a proposito dei procedimenti disciplinari, seguita da una nota in cui si dà atto della mia risposta. Al riguardo, mi corre l'obbligo di fornire qualche ulteriore chiarimento. In primo luogo, il Regolamento Disciplinare, approvato dal Consiglio Nazionale nel febbraio 1998, è assolutamente vincolante per i Consigli regionali e provinciali, i quali non possono non attenersi rigorosamente a quanto disposto nel regolamento in questione, che contiene precise norme procedurali regolarici dei procedimenti disciplinari per violazioni del Codice Deontologico.

In secondo luogo tale regolamento è, direi ovviamente, a disposizione di qualsiasi iscritto all'Albo che ne faccia richiesta al proprio FConsiglio dell'Ordine o alla Segreteria del Consiglio Nazionale.

In terzo luogo non ho mai affermato che il regolamento di cui trattasi sia discutibile sul piano della legalità; mi sono limitato, per onestà intellettuale, a condividere alcune mie perplessità circa l'istituto della ezione Disciplinare cui rimettere i procedimenti nei casi in cui si verifichi l'astensione o la ricusazione motivata dalla maggioranza dei Consiglieri dell'Ordine procedente in sede disciplinare, Sezione costituita da sette membri non ricoprenti cariche di Consiglieri regionali o provinciali e designata dal Consiglio Nazionale (art. 17), poiché tale istituto non è previsto dalla L. 56/89, come d'altra parte non è prevista la rimessione del procedimento (nei casi, appunto, di astensione o di ricusazione della maggioranza dei Consiglieri) al Consiglio più vicino. Un'interpretazione strettamente letterale della legge avrebbe, infatti, portato ad escludere qualsiasi ipotesi di rimessione, anche ove l'intero Consiglio procedente fosse stato ricusato o si fosse astenuto; il che, all'evidenza, avrebbe comportato una rinuncia al principio della terzietà del Giudice. Si è, proprio in omaggio a tale principio, deciso di costituire un Giudice terzo, non espressamente previsto dalla Legge fondamentale, e quindi con una forzatura della legge medesima, attraverso il sopra richiamato istituto della Sezione disciplinare, certamente terza ancor più di quanto sarebbe stato terzo un Consiglio territorialmente prossimo.

Da qui a farmi affermare che avrei definito l'intero regolamento disciplinare discutibile sul piano della legalità mi pare che ce ne corra parecchio e che rappresenti una distorsione strumentale del mio pensiero; ripeto, per evitare ulteriori equivoci, che tale mia affermazione riguardava non la correttezza sostanziale della soluzione individuata -certamente ossequiente del principio nemo judex in causa sua- ma la sua sostenibilità formale stante il silenzio della Legge 56/89 al riguardo. Si è, in altri termini, preferito forzare l'interpetazione della Legge, piuttosto che lasciare irrisolto un problema certamente di grande rilievo adagiandosi sul silenzio della legge stessa.

Mi piacerebbe potermi augurare che il mio atteggiamento di collaborativa colleganza, che credo di aver dimostrato nel dare pronto ed esaustivo riscontro alla cortese e problematica sua lettera, non venga, anche in futuro, strumentalizzato per sferrare ingiustificati e infondati attacchi all'Ordine ed al modo col quale è stato gestito.

Grato della pubblicazione, La saluto cordialmente.



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