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Gli assetti evolutivi delle associazioni professionali

di Angelo Deiana, pubblicato il 05/01/2006, fonte Co.L.A.P.

tag: associazioni professionali, colap, riforma professioni, ordini professionali

I mesi che restano fino all’insediamento del nuovo Governo mi spingono ad alcune riflessioni sui processi evolutivi del sistema associativo e su quali azioni possano essere dispiegate pragmaticamente, in questo periodo. Partiamo da una considerazione: l’arena competitiva delle professioni, nell’era dell´economia della conoscenza, è un ambiente socio-economico in cui i vantaggi concorrenziali sono difendibili per periodi sempre più brevi. Competere efficacemente in campo professionale significa affrontare e gestire la complessità di un panorama difficile e variegato e attraversato da processi di cambiamento e ristrutturazione permanenti. L´avvento dell´ipercompetizione e, nel contempo, l’esigenza non ancora soddisfatta di giungere al tanto sospirato riconoscimento comporta per le associazioni la necessità di imparare a gestire la complessità delle interazioni (esistenti o che verranno nel mondo professionale, traendone anche un vantaggio competitivo sia per essere riconosciute che per “vincere” la sfida sul mercato delle professioni. Il primo obiettivo da porsi è allora quello di percepire l´orizzonte prospettico di quelli che sono i requisiti di struttura associativa che, coerentemente con il sistema comunitario, saranno la base del futuro sistema di regolamentazione.

In questo senso, le problematiche evocate dalla normativa UE sulla libera circolazione delle qualifiche e dei professionisti ruotano attorno ad un problema di grande rilievo e che riguarda non solo gli iscritti alle associazioni, ma anche quelli degli ordini: infatti, sia questi ultimi (autorizzati al semplice livello di base dalla nostra normativa), e tanto più i professionisti associativi vengono quotidianamente discriminati a rovescio rispetto ai concorrenti che si appoggiano alle organizzazioni professionali di altri Stati UE, le quali si avvalgono dell´aiuto del proprio Stato di appartenenza nell’accreditamento specialistico delle competenze. Come ho sottolineato più volte a proposito dei principi di corretto funzionamento di un sistema duale equilibrato, i professionisti associativi anglosassoni aggiungono all’autorizzazione di base un accreditamento progressivamente più selettivo che li qualifica con maggiore efficienza ed efficacia rispetto ai nostri. Mentre nel regime autorizzatorio italiano, per esercitare, ogni professionista deve dimostrare solo di aver raggiunto i requisiti formativi di base (titolo di studio, tirocinio ed esame di Stato) e di mantenere nel tempo alcuni (labili, purtroppo) requisiti etico-deontologici, senza nessuna ulteriore verifica in itinere, nel regime accreditatorio associativo il professionista è sottoposto alla valutazione delle competenze maturate, anche informalmente e sul lavoro, da una associazione composta da colleghi che ha un grandissimo interesse a tenere alto il proprio prestigio, accreditando solo le competenze effettive e censurando in modo feroce quelle insufficienti. Sulla base del prestigio acquisito nel tempo, l’associazione di professionisti viene poi riconosciuta dallo Stato e controllata periodicamente nel mantenimento del suo prestigio. E’ un sistema in cui la configurazione concorrenziale riesce a mantenere elevati gli standard qualitativi attraverso il controllo incrociato derivante sia dalle funzioni di audit interno alla singola associazione (un singolo iscritto che si dimostra non competente intacca l’immagine di tutta l’associazione sul mercato), sia dai meccanismi di competizione fra più associazioni di uno stesso segmento. Mi domando perché, allora, gli ordini abbiano tanta acredine verso il riconoscimento giuridico del sistema di accreditamento delle associazioni professionali quando siamo tutti consapevoli che, in altri Paesi si è dimostrato particolarmente efficace?

Si tratta, comunque, di un modello in cui lo sviluppo delle strutture associative deriva, prima ancora che dalla finalità di ottenere il riconoscimento, dall’esigenza di costruire una leadership sul mercato in termini di prestigio nell’attestazione delle competenze: è, pertanto, necessaria una segmentazione specificamente tesa ad orientare i processi organizzativi associativi (funzioni di controllo qualitativo in ingresso e in itinere, funzioni di esercizio delle forme di tutela dell’utenza, funzioni di controllo deontologico) verso l’obiettivo del miglioramento del posizionamento competitivo degli iscritti. Fare associazione professionale, in questo momento e sempre più in futuro, significa e significherà applicare un enterprise model collettivo fondato sulla manutenzione del profilo professionale e sul monitoraggio delle prestazioni professionali degli associati, soprattutto in termini di tutela della client satisfaction. La necessità ed anche la capacità di far collimare queste molteplici esigenze deve allora costituire “l´orizzonte degli eventi” di tutte le associazioni che vorranno presentarsi in regola con la futura definizione normativa anche perché, una volta attivato il riconoscimento, crescerà la consapevolezza dei clienti in relazione all´offerta di standard minimi qualitativi da parte delle associazioni riconosciute e, di conseguenza, sarà necessario uno sforzo sempre più importante in termini di ricerca di nuove opportunità competitive per consolidare la propria leadership. In questo ambito, è necessario avere alcuni punti fermi. Il primo punto fermo è che la dinamicità del sistema professionale ha assunto velocità impensate, sempre più alte, anche al di là di eventuali battute di arresto di singole parti del sistema stesso. Il secondo punto fermo è che l’economia della conoscenza è sempre più pervasiva ed i professionisti, cioè i detentori della conoscenza, aumentano sempre di più, in termini quantitativi e qualitativi, anche se l’unica cosa che non migliora (purtroppo) è la regolamentazione, ovvero la non regolamentazione. D’altra parte, se è vero che il mondo cambia a velocità frenetiche, allora è inutile per le Associazioni mettersi alla finestra e non innovare per aspettare il treno della regolamentazione: bisogna lavorare per conoscere, capire, competere e vincere la propria sfida. Questo è l’unico modo per stare sul mercato (anche quello delle Istituzioni) nella fase attuale: un modo che vale per i professionisti delle associazioni ma anche per quelli degli ordini: l’importante è cercare di capire prima degli altri lavorando sulla base di logiche anticipatorie, perché solo così si crea il vero vantaggio competitivo. Tutto ciò, per le associazioni, vuol dire andare avanti (anche senza la regolamentazione) su selezione qualitativa, formazione, aggiornamento, assicurazioni, relazioni istituzionali, etc.. E non dimenticando il grande potere dei media come giornali, televisione e internet.

In sintesi, per essere competitivi come sistema Paese e crescere nel mercato globalizzato, è necessario selezionare la qualità dei nostri professionisti intellettuali nell’ambito di un percorso di sviluppo in cui sono centrali l’integrazione in rete, l’innovazione e la verifica della qualità in itinere. Tutte qualità di un sistema associativo aperto e dinamico. Se, dunque, il mercato professionale cresce su metafore di rete e logiche di innovazione, la nostra normativa sulle professioni non può più continuare ad essere, per volere di pochi, basata su logiche statiche e monocratiche.



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