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Sulla Sentenza 1279/2005 della sezione IV del Consiglio di Stato

di Rolando Ciofi, pubblicato il 01/10/2005, fonte Simposio, Anno 1, numero 1, ottobre 2005

tag: psicoterapia, art. 3, sentenza, titoli esteri

Inevitabilmente è accaduto ciò che da tempo era nell’aria. Anzi era già presente nel nostro ordinamento ma nessuno aveva mostrato di volersene accorgere. Questo l’antefatto: un cittadino italiano che ha effettuato i suoi studi in Austria, chiede al Ministero di Giustizia il riconoscimento del titolo professionale di Psicoterapeuta conseguito in Austria per l’esercizio della professione in Italia. I titoli che il richiedente possiede sono un diploma di Assistente Sociale ed una Scuola di formazione in Psicoterapia. Tali titoli sono sufficienti per esercitare la professione (che in quel paese è autonoma) di Psicoterapeuta in Austria. L’Autorità italiana nega il riconoscimento. Il provvedimento è impugnato davanti alla Giustizia Amministrativa e il T.A.R. di Bolzano accoglie il ricorso con sentenza confermata poi dal Consiglio di Stato.

Ma cosa dice di così rivoluzionario la sentenza in questione?

- Sono riconosciuti in Italia i titoli rilasciati da un Paese membro della Comunità europea attestanti una formazione professionale al cui possesso la legislazione del medesimo Stato subordina l’esercizio di una professione.
- Il riconoscimento è subordinato, a scelta del richiedente, al compimento di un tirocinio di adattamento della durata massima di tre anni oppure al superamento di una prova attitudinale.
- (incidentalmente) nell’art. 3 della medesima (Legge 56/89) non è previsto, quale requisito, l’iscrizione all’albo degli Psicologi, come sostenuto dall’Amministrazione, ma la diversa condizione che l’esercizio dell’attività psicoterapeutica venga riservata, dopo idonea formazione, ai laureati in Medicina e chirurgia o in Psicologia.
- Il rifiuto di riconoscimento basato sulla mancanza dei requisiti di cui alla L. n. 56/89 è in contrasto con lo spirito della normativa comunitaria.

Fin troppo facile per me ricordare che da anni pongo la questione dell’assetto normativo dell’esercizio dell’attività psicoterapeutica all’attenzione della comunità professionale. Che già in un libro edito nel 2003 preconizzavo, insieme a Patrizia Adami Rook, questo scenario e provavo a prospettare vie di uscita. Fin troppo facile e dunque non insisto nell’autoreferenzialità.

Proviamo invece a riflettere su cosa ora accadrà e su come la nostra comunità professionale affronterà la situazione. La sentenza del Consiglio di Stato, si sa, è ad personam, ma ciò che immediatamente ci possiamo attendere è che si attivino da subito una valanga di ricorsi da parte di tutti quei cittadini stranieri e italiani con titoli presi all’estero che negli ultimi anni si sono visti negare il riconoscimento da parte del Ministero di Giustizia. E’ altresì probabile che tali ricorsi vengano vinti e che, man mano che la notizia si diffonderà sempre più domande di riconoscimento parziale affluiranno al Ministero di Giustizia.

In questa prima fase l’Ordine Nazionale degli Psicologi, unitamente alla FNOMCeO, tenteranno di mettere ogni tipo di “toppa” possibile, dall’invenzione di escamotti nazionali, al tentare di argomentare meglio e di più in sede giurisprudenziale, alla riproposizione della Psicoterapia quale 44ma specializzazione medica in Europa. Ma i primi tentativi saranno inevitabilmente paliativi, il secondo è ormai tramontato e difficilmente riproponibile. Intanto è arrivata all’approvazione la direttiva per il riconoscimento delle qualifiche professionali in Europa che ancor più spingerà nella direzione oggi disegnata dal Consiglio di Stato.

Si arriverà così alla coesistenza di Psicoterapeuti iscritti all’ordine degli Psicologi o dei medici e Psicoterapeuti, che potremmo definire “laici”, iscritti in un qualche registro che il Ministero della Giustizia o chi per lui si dovrà inventare. In tale registro, ma il passaggio è ardito, potrebbero iscriversi anche quei laureati in Psicologia o Medicina che vogliano formarsi in una scuola riconosciuta di Psicoterapia ma non iscriversi all’ordine (il passaggio è chiedere l’iscrizione ad una scuola e, a fronte del diniego per non aver sostenuto l’esame di stato ed essersi iscritti all’ordine, impugnare tale diniego unitamente al regolamento per il riconoscimento delle scuole in quanto in contrasto con l’art. 3 l. 56/89). Successivamente non medici e non Psicologi italiani potranno specializzarsi in Psicoterapia all’estero e tornare ad esercitare in Italia, successivamente ancora qualche scuola estera arriverà in Italia (o qualche scuola italiana si farà riconoscere all’estero?).

E’ assai probabile che la proclamata non necessità di iscrizione all’Ordine per laureati in Psicologia o Medicina specializzati in una scuola di formazione in Psicoterapia non reggerebbe ad un più approfondito riesame del Consiglio di Stato stesso (troppo evidente e facilmente rintracciabile negli atti parlamentari l’intento del legislatore di far rientrare la Psicoterapia, come specializzazione, nell’ambito delle professioni ordinate di Medico e di Psicologo). Ma, messo dunque tra parentesi tale aspetto, rimane sempre il fatto che la normativa europea supera quella nazionale e dunque rimarrà uno scenario del tutto nuovo per quanto riguarda le abilitazioni conseguite in altro paese comunitario o rilasciate da altro paese comunitario. E’ uno scenario catastrofico? No, è semplicemente uno scenario che richiede che un nuovo assetto organizzativo venga dato al versante professionale delle nostre discipline, che ci dice che la nostra legge di ordinamento avendo effettuato una forzatura (l’aver fatto diventare obbligatoriamente Psicologi, Psicoterapeuti e Psicoanalisti che Psicologi non erano) sta ora scricchiolando in quanto l’Europa non intende seguire la stessa strada e più in generale, nello stesso nostro paese, le professioni “psy” non intendono avere come limite invalicabile la formazione accademica di base in Psicologia.

Che fare? Proviamo a schematizzare:

- Psicologia clinica (ed altre specializzazioni esistenti o da costruire) agli Psicologi
- Psichiatria (e le altre specializzazioni del campo) ai medici
- Psicoterapia come professione autonoma (alla quale arrivare da percorsi disparati ma comunque regolamentati secondo la tradizione dei vari modelli e dei vari Stati)
- a seguire una serie di professioni, nuove e meno nuove, di ambito “psy”, ognuna con le sue logiche e le sue regole.

Un filo comune, da normarsi in itinere e legato alla comune appartenenza ad un’area, potrebbe poi unire il tutto, un filo associativo, il filo che unisce e distingue le discpline di ambito psicologico.



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